Intervento sull’opera di Lazaro Saavedra durante “Daunia Land Art” a cura di Giacomo Zaza – Monte Sant’Angelo – Gargano (FG)
L’uomo è intelligente perché ha le mani
Anassagora
Il mio intervento pone in posizione contrapposta, lasciando che interagiscano a distanza, un simbolo antico e uno proprio alla civiltà contemporanea. La loro azione, a distanza, determina lo spazio ideale della reciprocità, costruendo un mutuo rimando a posizioni che possono richiamare – da una parte – il fluire inarrestabile del tempo, mentre – dall’altra – quello stesso fluire diventa il ritmo veloce dell’evoluzione/trasformazione caratteristico del nostro tempo.
Il secondo simbolo, quello che chiaramente ci riporta al nostro presente, legge la società post-industriale nel momento in cui cerca di recuperare il rapporto col passato, istituendo una sorta di circolarità inversa, per permettere al prodotto (con-sumato, giunto alla fine del suo ciclo) di riscattare il suo passato rapporto con la terra : quello stesso che invece appariva in stato nascente nella spirale del primo simbolo, e si annunciava come futuro destino della tecnica. Individuo così e definisco il rapporto tra la mano (aperta per cogliere il legame dell’uomo col mondo) e il pensiero che la mano stessa sottende.
Le mani delle persone, dell’uomo, sono le mani che, insieme alla mente, determinano il destino della collettività e definiscono quello del territorio che le ospita. Dunque, le nostre mani contengono il nostro destino e la nostra responsabilità verso il mondo.
Disegno delle mani perché l’impronta è utilizzata come segno del passaggio dell’uomo, e quindi leggo attraverso di essa anche il complesso del rapporto con il trascendente, il farsi religione e memoria. Attraverso la mano leggo la storia.
Dunque la mia storia, le mie tradizioni. La mano di cui il pellegrino disegna il contorno incerto sui muri rocciosi di Monte S. Angelo, quella mano che contiene in sé memoria e speranza, la profonda spiritualità e la delicatezza del rapporto ancora integro con la natura e, infine, con quello che – nella tradizione latina – veniva chiamato genius loci.